Saturday, November 11, 2006

Scienza ed etica: quale risposta alla domanda di senso e di limite?

Giovedi 9 novembre si è svolta la lezione inaugurale del Master di Bioetica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

Di seguito pubblichiamo introduzione del discorso della professoressa Maria Luisa Di Pietro, Presidente dell'Associazione “Scienza & Vita, e link al testo completo, su Zenit.

"In un recente romanzo di Robert Cook, Cromosoma 6, si si narra la storia di un ricercatore - Kevin - che crea, modificando un segmento del braccio corto del cromosoma 6, animali transgenici e compatibili con il soggetto da cui derivano i geni.
Gli animali, le scimmie bonobo, divengono così serbatoi di organi per xenotrapianti, esenti da rigetto. Il ritrovamento di un cadavere orribilmente mutilato di un boss della malavita e la successiva autopsia, che rivela un inspiegabile intervento di trapianto di fegato, portano alla luce loschi traffici: agli interessi economici e di potere di chi gestisce l’affare, si incrocia il timore del ricercatore di essere andato “oltre” con le sue manipolazioni genetiche, creando una razza di bonobi umanizzati.
Leggiamo - a questo proposito - il dialogo tra Kevin e Jack, che chiede chiarimenti sulla ricerca del primo" ... segue > link


Link Master Bioetica

Link Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

Nuovi test preimpianto sugli embrioni

E' stato da poco pubblicato un articolo sulla nota rivista Nature [1] nel quale vengono riportate alcune interessanti scoperte scientifiche nel campo della fecondazione assistita. Per chi non avesse modo o tempo di leggere l’articolo in questione forniamo qui di seguito un breve sunto per poi proporre alcune considerazioni di carattere (bio)etico.
Sulle pagine di Nature si torna a parlare di fecondazione in vitro.
La chiusura del convegno della American Society for Reproductive Medicine che si è celebrato alla fine dello scorso ottobre, sembra avere segnato un nuovo traguardo nelle tecniche di riproduzione assistita.
In sostanza sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo, visto che la stessa Autrice ci informa che questa notizia proviene da alcuni studi preliminari) che gli embrioni fecondati in vitro con un maggior grado di vitalità producano (e dunque rilascino nel brodo in cui vengono prodotti e sostentati) alcune proteine o metaboliti.
È evidente che la possibilità di rintracciare queste sostanze porrebbe gli operatori di IVF in grado di bypassare l’esame visivo degli embrioni prodotti (che certamente richiede una notevole esperienza) e dichiarare impiantabile un numero più realistico di embrioni. Questo, secondo i Ricercatori, innalzerebbe certamente la percentuale di impianti, addirittura ipotizzando un “70% di accuratezza” in più sulla scelta dell’embrione da impiantare.
Il che, preme sottolinearlo, non significherebbe passare dal (già ottimistico) 40% di gravidanze attuale (così riporta l’articolo) ad un 70%, ma semplicemente fornire al Medico o all’Operatore un qualche elemento oggettivo/quantitativo per stabilire le probabilità di impianto di un determinato embrione.
A onor del vero la ricerca di queste proteine non riguarderebbe soltanto gli embrioni, ma alcuni avrebbero individuato nel cumulo ooforo (cellule che costituiscono una sorta di “protezione” attorno all’ovocita) alcune proteine che potrebbero fornire parametri utili per valutare le possibilità di impianto dell’embrione che da questo ovocita nascesse.
Ma, ancora una volta ad onore del vero, si riporta di un gruppo di Ricercatori che, oltre alle sostanze indicatrici delle possibilità di impianto, stanno cercando metaboliti o proteine indicatrici di difetti genetici o cromosomici (ad es. la trisomia 21).
La buona notizia sarebbe, per l’Autrice dell’articolo, che non sarà più necessario estrarre cellule dall’embrione per procedere a Diagnosi Pre Impianto (PGD). Questo, sempre secondo l’Autrice, potrebbe porre fine alle diatribe etiche sulla PGD, garantendo l’integrità fisica (e dunque la vitalità) dell’embrione.

La cattiva notizia è che le cattive notizie insite in questo articolo sembrano sfuggire all’Autrice stessa. Nell’abbagliante luce di un nuovo passo in avanti dell’inarrestabile progresso scientifico, sembrano essere invisibili alcuni “particolari” che, invece, dovrebbero fondare tutto il discorso. Mi permetto, quindi, di segnalarne alcuni.

Innanzitutto è necessario rilevare come, compiuto un passo avanti, le tecniche precedentemente usate si rivelino improvvisamente approssimative e pericolose. Dall’esame visivo della vitalità degli embrioni (e noi che pensavamo che vi fossero parametri ben più alti per stabilire a chi verrà data una probabilità di continuare a vivere e chi verrà “conservato” in azoto liquido o peggio gettato in un lavandino di laboratorio…) al prelievo di una cellula per la PGD, tutto sembra ormai preistorico.
Si scopre, tra le righe, che questo prelievo potrebbe veramente avere dei rischi per l’embrione… eppure fino ad oggi (o meglio, prima del Convegno americano) chi sollevava questo tipo di obiezioni era tacciato di oscurantismo. Ma ormai esiste un altro modo, e quindi, pericolo o no, dobbiamo essere tranquilli. Sarebbe bene ricordarsi di questo atteggiamento già da ora, nel momento in cui si presenta una nuova tecnica che (per il semplice fatto di essere “nuova”) viene percepita totalmente sicura ed affidabile: non erano nuove anche le precedenti metodiche di PGD?

Ma la PGD altro non è che uno tra gli strumenti per raggiungere un obiettivo. Quale, dunque, l’obiettivo? Avere un figlio sano. Criticabile? No. Condivisibile? Assolutamente sì.
Come mai, allora, molti (e non solo la Chiesa cattolica) si oppongono alle tecniche di PGD?
Per il fatto che per raggiungere l’obiettivo del figlio sano si percorre la strada dell’eliminazione (immediata o differita nel tempo attraverso il non-impianto) di altri figli, magari sani pure loro, visto che l’errore di valutazione è sempre presente in tutte le attività umane.
A scanso di equivoci: non è tanto la tecnica di diagnosi che crea problema, quanto il fatto che da questa diagnosi discenda, per molti embrioni, una “terapia” a base di azoto liquido a tempo indeterminato, per altri l’eliminazione diretta e per alcuni l’impianto.
È abbastanza strano, quindi, che si parli di “diagnosi”: le possibilità che l’embrione venga effettivamente curato per la malattia che gli è stata diagnosticata, infatti, sono molto vicine allo zero.
A meno che, contro ogni logica medica, non si parli di “diagnosi” in riferimento alla madre: la malattia in questione, dunque, non sarebbe la malattia del figlio, ma lo stesso figlio malato. E anche qui, però, la possibilità di terapia si riduce ad una sola: eliminazione del malato (aborto o non-impianto che sia).

Qualcuno, poi, potrebbe intravedere in queste nuove frontiere lo spettro dell’eugenetica. Evidentemente non sto parlando delle espressioni più “fantasiose” di questa tentazione: do per scontato che pochissimi “genitori” selezioneranno il figlio in quanto (probabile) portatore di altezza, capelli biondi e occhi azzurri. Ma, siccome al peggio non c’è limite, sono fantasie che non possono essere prese tanto alla leggera se esistono attualmente nel Mondo leggi che obbligano l’aborto per i secondogeniti femmine oppure se esistono genitori che abortiscono un figlio perché non era sordo come loro.
Il fatto che queste “fantasie”, almeno quelle più “estreme”, siano statisticamente irrilevanti non ci deve far perdere di vista il vero punto: non fosse altro che uno solo, ma almeno un embrione è stato eliminato perché non corrispondeva ad un disegno dei genitori. Stando invece a quanto riportato dall’articolo, la ricerca del “marker” per la trisomia 21 (o altre malattie cromosomiche o genetiche) è un chiaro esempio di eugenetica.
Ancora una volta, a scanso di equivoci: la trisomia 21, come tutte le malattie, non è un bene e, come tale, va possibilmente eliminata o quantomeno contenuta. Altro discorso è la persona Down: come ogni persona è un bene assoluto e, come tale, va sempre rispettata.
Che poi la trisomia faccia più paura agli scienziati che a coloro che la vivono quotidianamente, penso sia esperienza di chiunque abbia avuto a che fare con persone down: ma questo, il fatto che una vita segnata da una grave malattia possa essere vissuta pienamente e gioiosamente, non è un dato scientifico, e ci porterebbe su considerazioni (forse) lontane da queste pagine. Ora: se voglio eliminare una malattia, posso veramente pensare di farlo eliminandone tutti i malati? Oppure dovrò prendere la via, più lunga e dispendiosa, della prevenzione (se esiste) e della ricerca di una terapia?

Il problema maggiore, però, permane la fecondazione in vitro qua talis, a “servizio” della quale si pongono, tra gli altri, i test esaminati nell’articolo. Qui non vi sono scoperte scientifiche che addolciscano la pillola: nascere con metodiche di fecondazione in vitro non è corrispondente alla dignità dell’uomo. Anche se si riuscisse (ma al costo di quanti embrioni?) a perfezionare la tecnica a tal punto da renderla efficiente al 100% (un embrione prodotto, uno impiantato ed un “bambino in braccio”), non si potrebbe parlare di bontà della FIV. Un essere umano è fatto per essere un frutto (dell’amore genitoriale) e non un prodotto (di un Tecnico).
Prof. Leonardo M. Macrobio – Facoltà di Bioetica
[1] Helen Pearson, Safer embryo tests cold boost IVF pregnancy rates, in «Nature» 444 (2 novembre 2006), pp. 12-13.
IVF = In Vitro Fertilization
PGD = Preimplantation Genetic Diagnosis